Elk Emil Eber
Elk Emil Eber
Wilhelm Emil Eber alias Elk Eber alias Hehaka Ska – Alce Bianco in lingua Lakota:
pittore, combattente, Alter Kämpfer e amico dei nativi del nord America
di Harm Wulf
Wilhelm Emil Eber nasce il 18 aprile 1892 a Haardt vicino Neustadt nel Land della Renania-Palatinato in una casa colonica del podere viticolo familiare Weingut am Haardter Mandelring. Il padre Friedrich Wilhelm Eber, di famiglia protestante, che gestiva la fattoria con due fratelli, cede alle pressioni della madre Rosalia Sybylla Eisele di credo cattolico ed il neonato viene battezzato dal parroco del paese con il nome di Wilhelm Aemilianus. Dopo le scuole elementari a Haardt detta il balcone del Palatinato per la sua eccellente posizione geografica, il giovane viene mandato nel ginnasio di Neustadt. Consegue la maturità il 23 giugno del 1910 con un elaborato in cui sostiene di voler dedicare la propria esistenza alla pittura e all’arte. Lo stesso anno s’iscrive alla facoltà di storia dell’arte ed anatomia dell’Università di Monaco di Baviera. Nel 1911 passa alla Kunstgewerbeschule e dal 1912 fino al 1918, con l’interruzione della prima Guerra mondiale seguirà i corsi dell’Accademia per le Arti figurative divenendo allievo di Peter Halm, Adolf Hempler, Hengeler e Franz von Stuck. Come quasi tutti gli studenti universitari tedeschi aderisce nel 1911 all’associazione studentesca Burschenschaft Korp Rhena-Paletia. Il periodo degli studi finisce con l’inizio della guerra. Su sua esplicita richiesta Eber parte volontario per il fronte come fante semplice nonostante fosse stato richiesto dal Ministero della guerra bavarese come artista per rappresentare scene di guerra. Durante il servizio al fronte, a seguito dello scoppio di una granata, subisce una grave lesione all’orecchio destro con perdita parziale dell’udito ed una cicatrice sotto l’occhio. In questo periodo inizia un’intensa attività pittorica disegnando ritratti di compagni d’armi e scene di guerra con acquarelli, schizzi a matita e carboncino. Molti di questi lavori, che lo fanno notare come eccellente ritrattista, saranno in seguito pubblicati in litografie e cartoline. Diventa famoso per le sue opere che esprimono con estremo realismo il dramma della vita dei combattenti di trincea. Prende parte a molte battaglie tra cui quella di Chemin des Dames e Fromelles in territorio francese. Il 28 aprile 1919 Eber è tra i primi ad aderire al Corpo Franco Werdenfels detto anche Oberland perché nasce nel Werdenfelser Land a Garmisch Partenkirchen in alta Baviera. Il 1 maggio 1919 con altri 270 camerati al comando di Ritter von Epp si sposta a Monaco per prendere parte agli scontri contro la neo proclamata Repubblica. Disegna diversi manifesti e bandi d’arruolamento per l’Oberland che saranno diffusi anche come cartoline. Il 30 agosto 1919 sposa Gerda Körnner che muore nel 1921 senza dargli un figlio. Il Corpo Franco Oberland sarà il nocciolo duro del nazionalismo rivoluzionario, i suoi membri aderiranno alla NSDAP in massa. Il 9 novembre del 1923 partecipa alla storica marcia verso la Feldherrnhalle di Monaco in cui lo stesso Hitler si salva miracolosamente e 16 militanti sono uccisi: sono Felix Alfarth, William Ehrlich, Anton Hechenberger, Andreas Bauriedl, Martin Faust, Wilhelm Wolf, Theodor Casella, Theodor von der Pfordten, Johann Rickmers, Karl Laforce, Oskar Körner, Max Erwin von Scheubner-Richter, Kurt Neubauer, Lorenz Ritter von Stransky-Griffenfeld, Klaus Maximilian von Pape, Karl Kuhn. Gettati in una fossa comune, i loro corpi saranno traslati ai templi dell’onore Ehrentempel nella Königsplatz (distrutti dagli americani dopo la guerra) vicino alla Braunen Haus di Monaco sede centrale del NSDAP (oggi conservatorio). La bandiera con la svastica caduta a terra e macchiata col sangue dei caduti diventerà l’emblema più sacro del movimento, la Blutfahne e sarà usata nelle cerimonie per consacrare gli altri stendardi del partito. Anche Eber è colpito e perde definitivamente l’udito dell’orecchio destro. Per la partecipazione a quest’evento, a cui dedicherà diversi schizzi e disegni, Eber sarà insignito il 15 novembre del 1934 del Blutorden numero 1206 la decorazione più ambita tra la vecchia guardia, gli Alten Kämpfer, del movimento che era concessa solo a coloro che erano stati presenti alla marcia verso la Feldherrnhalle. Si stabilisce a Monaco di Baviera dove riprende l’attività artistica come autore d’innumerevoli dipinti a soggetto militare e sportivo, di paesaggi e ritratti. Esegue anche diversi disegni e caricature. S’iscrive alla NSDAP con tessera numero 1307 e diviene membro delle SA dal gennaio del 1923. Entra nel Circolo culturale delle Sturm Abteilung e diviene uno dei primi collaboratori del Völkischer Beobachter e della rivista “SA Mann” giornali dove continua a pubblicare i suoi disegni anche dopo il 1933. Uno dei suoi manifesti Harte Zeiten – Harte Pflichten – Harte Herzen sarà utilizzato fino a tutto il 1945. Il 28 febbraio 1924 Eber si sposa per la seconda volta con l’avvenente e simpatica stilista Irmgard Faltin, figlia di un celebre ginecologo di Monaco. La coppia s’istalla in Barerstrasse 48 presso la casa dei suoceri dove la moglie aveva aperto un laboratorio di moda a cui Eber collaborerà con disegni e schizzi. Il matrimonio non è molto ben visto dal dottor Faltin liberale e cosmopolita che mal sopportava l’unione della figlia con un noto nazionalsocialista, alto, sportivo, dai modi rustici del Palatinato e che a causa della sordità non partecipava ai convenevoli ed alle conversazioni. Il dottore e la moglie non andarono nemmeno al matrimonio cattolico della figlia. Il 5 maggio del 1925 nasce il primo figlio della coppia Kurt. Spesso gli sposi si recano a Garmisch e Partenkirchen dove si erano conosciuti. L’artista ha scelto Monaco e l’alta Baviera come patria elettiva e a queste montagne dedica innumerevoli opere. Uomini e donne della montagna, sportivi, guide alpine e scalatori, nudi e scene rustiche sono i temi ricorrenti dei quadri di Eber. L’artista stesso era alpinista, sciatore, guida e fortemente attratto dallo sport e dalle attività in ambiente naturale. Una celebre fotografia scattata nell’atelier di Carl Zwikl, lo mostra con l’equipaggiamento da alpinista. Conosce molti dei fondatori dell’Alpenverein (club alpino tedesco) e nel 1928 ritrae uno dei suoi consiglieri anziani Adolf Zoeppritz. Nel 1928 dopo la costruzione della funivia per il rifugio alpino Adolf Zoeppritz-Haus oggi chiamata anche Kreuzeckhaus sul monte Kreuzeck a 1652 metri a Garmisch-Partenkirchen ( info@kreuzeckhaus.de ) , Eber esegue un affresco a soggetto alpino che, insieme al celebre Bergführer, si possono ancora oggi ammirare nel rifugio. La sordità si aggrava e la moglie deve spesso scrivere le domande per il marito o ripetere lentamente le parole. L’artista, escluso dalle conversazioni, si esprime con i quadri e lo vediamo spesso ritratto in lettura con la sua pipa di corno. Nel 1925 avviene il primo contatto tra Eber e la cultura degli indiani d’America che sarà una delle sue grandi passioni e fonte ricchissima d’ispirazione artistica. L’amore per gli indiani era molto diffuso in Germania soprattutto grazie all’opera di Karl May (Hohenstein Ernstthal 1842 – Radebeul 1912) scrittore popolare tedesco di gran successo. Il personaggio del pellerossa Winnetou (Winnetou il gentiluomo rosso del 1892) fu molto amato dallo stesso Hitler. Il 25 marzo 1925 Eber ritrasse nel suo atelier il capo indiano Black Wolf di 105 anni che stava visitando, insieme ad un altro indiano, Monaco. Il dipinto ad olio 124 cm. per 85 cm. è oggi al Museo Karl May di Radebeul nei pressi di Dresda. Eber diventa membro del Cowboy Club di Monaco (Cowboy Club Zentralländstraße 37 D – 81379 München Tel. 089-7235146 http://www.cowboyclub.de/ ) che sarà il tramite per la diffusione della cultura indiana in tutta la Germania. L’artista è affascinato da questo popolo ed incomincia a raccogliere cimeli ed opere artistiche ed artigianali delle popolazioni originarie dell’America settentrionale. Molti suoi dipinti saranno da questo momento dedicati alla storia ed alla cultura pellerossa: i dipinti ad olio Two Arrows del 1927, l’acquarello Indio zu Perde del 1928, Kindertanz der Sioux del 1929. Nel 1929 il circo di Dresda Sarrasani passa da Monaco e s’installa al Theresienwiese dove rappresenta uno spettacolo dedicato al selvaggio West sul modello di quello di Buffalo Bill in cui sono esibiti indiani della riserva di Pine Ridge nel sud Dakota tra cui il capo “White Buffalo”. Eber, la moglie ed altri amici del Cowboy Club assistono alla rappresentazione, si fanno fotografare col capo indiano e ne divengono amici. White Buffalo è invitato in agosto a Monaco con altri capi indiani: si rinsaldano i legami di simpatia con doni reciproci. Il Gran capo indiano White Horse Eagle conferisce ufficialmente a Elk Eber il titolo ed il nome di Capo He-Ha-Ka-Ska della tribù dei Dakota. Il nome indiano Lakota Hehaka Ska sta per Alce (Hehaka traduce il nome Elk che significa alce) e Ska significa bianco. Il nome Elk era già stato scelto ed usato del pittore che aveva chiesto la traduzione in Lakota del suo nome d’arte Elk dal 1925 e che era diventato anche il suo nome ufficiale insieme ad Emil. I rapporti d’amicizia ed ammirazione con molti capi indiani arricchiscono la sua già consistente collezione etnografica di oggetti ed indumenti tradizionali indiani. Eber entra in contatto con molti altri collezionisti di materiale indiano tra cui Patty Frank che diventerà uno dei suoi amici più intimi. Con Frank visita per la prima volta il Karl May Museum di Radebeul il 12 dicembre del 1929. Per il museo esegue nel suo atelier di Monaco un busto che rappresenta il personaggio di Winnetou e moltissimi altri lavori ed opere ancora oggi visibili (Karl May Museum, Karl-May-Straße 5 – D 01445 Radebeul Tel. 0351 8373010 http://www.karl-may-museum.de/ ). Buona parte della straordinaria collezione etnografica di Elk Eber e quasi la totalità delle sue opere a soggetto indiano, sarà donata al museo. Il 19 febbraio 1937 riapre rinnovato il museo Karl May e viene presentato il celebre dipinto ad olio di Eber Die Schlacht am Little Big Horn o L’ultima battaglia di Custer eseguito per l’occasione e venduto per 3.000 RM. E’ una delle rappresentazioni più attendibili dell’evento storico che portò alla disfatta e all’uccisione del Generale Georg Armstrong Custer: l’opera era talmente realistica e precisa nella riproduzione d’armi, vestiti, oggetti che un giornalista fece nascere la leggenda di Eber figlio di un bianco e di una Sioux che da bambina aveva assistito alla battaglia di Little Big Horn. Il dipinto ad olio è preceduto da un lavoro preliminare eseguito ad acquarello del 1929 che presenta qualche significativa differenza con il lavoro definitivo del 1936. Il capo indiano al centro del dipinto è rappresentato con la bandiera personale di Custer con una stella, mentre nell’acquarello la bandiera è quella nazionale americana. In una conferenza stampa e nei successivi articoli sui giornali (vedi anche Illustrierten Beobachter n. 33 del 1937) Elk Eber è descritto come amico degli indiani d’America e profondo conoscitore della loro nobile cultura. Nel 1969 il Museo Nazionale della battaglia di Custer cercò di acquistare il dipinto di Eber ma senza riuscirci. La fama di Eber cresce e arriva la richiesta di un dipinto per Presidente americano Roosvevelt. L’opera, che non fu mai terminata e di cui è possibile vedere uno studio al Museo Karl May, doveva rappresentare la battaglia di Point Plesant del 10 ottobre 1774 avvenuta tra 1000 guerrieri Shawnee condotti dal capo Cornstalk e 1100 coloni americani guidati dal colonnello Andrew Lewis. Nel 1935 la galleria di Monaco Städtische Galerie im Lenbachhaus (Luisenstraße 33, 80333 München Tel. 089 23332002 http://www.lenbachhaus.de/ ) acquistò circa 40 disegni di Eber dedicati alla prima Guerra mondiale e al Kampfzeit. Dopo il ritorno alla Germania della Saar viene insignito nel 1935 del Premio Albert Weißgerber istituito da Kurt Kölsch. Il 13 maggio 1936 Eber si separa dalla seconda moglie e torna per qualche mese dai parenti a Haardt nel Palatinato. Dal 1937 espone sedici dipinti nella mostra d’arte Grosse Deutsche Kunstausstelllung tra cui Appel am 23 februar 1933 e Die letze Handgranade nel 1937, So war die SA del 1938, Ein Meldegänger del 1939, Polnische Gefangene vor der Kommandantur in Warschau del 1939 e Sie trommeln del 1941. So war die SA destinato alla nuova cancelleria a Berlino viene comprato per 15.000 Reichsmark da Adolf Hitler che acquista anche Die letze Handgranade. Il 30 gennaio 1938 Elk Eber riceve il titolo di professore. Il 14 settembre 1938 si sposa per la terza volta con Lieselotte Rummel conosciuta a Garmisch. Nel 1939 illustra con 12 disegni il libro di Hans Rudolf Rieger Lagerfeuer im Indianerland. Con diversi interventi pubblici ed articoli si oppone fermamente alla descrizione della cultura indiana come selvaggia da parte degli anglosassoni: riafferma il carattere altamente etico delle società indiane e il profondo rispetto per il guerriero ed il vinto. Ribadisce che la pratica dello scalpo è estranea alla cultura pellerossa ma fu introdotta dai civili coloni bianchi. Diversi tra i pezzi più belli della sua collezione d’oggetti indiani sono ceduti al museo del cuoio di Offenbach ( Deutsches Ledermuseum, Frankfurterstrasse 86 D – 63067 Offenbach E-mail: info@ledermuseum.de http://www.ledermuseum.de/ ) dove oggi si possono ammirare. Qualche oggetto è rimasto al Cow Boy Club di Monaco. Allo scoppio della guerra contro la Polonia Eber chiede di partire ancora volontario. Ritorna all’attività di pittore di guerra nel 1939 – 1940 nella stessa compagnia di propaganda dei pittori Franz Eichhorst, Alwin Stützer, Ernst Vollbehr e della regista Leni Riefenstahl. All’inizio del 1940 espone un buon numero dei suoi lavori nella mostra Polenfeldzug und U-Boot krieg in Bildnern und in Bildnissen alla Künstelerhaus a Berlino. Lo stesso anno il 26 febbraio riceve il premio per l’arte della SA. Esegue un affresco per l’ospedale di Garmisch dove muore il 12 agosto del 1941 a causa di un’infezione di tubercolosi contratta durante la guerra in Polonia. Durante il funerale, la sua compagnia intona il vecchio canto Der gute Kamerad più noto con l’inizio della sua prima strofa Ich hatt’ einen Kameraden. I suoi amici scrivono un pezzo sulla stampa di Monaco intitolato Alce bianco è morto. Un’esposizione commemorativa viene tenuta nel giugno del 1942 al Kunstverein di Monaco. Werner Rittisch scrive sul Völkischer Beobachter del 15 agosto 1941 il necrologio per l’artista scomparso In morte del Prof. Elk Eber, pittore del Kampfzeit e dei combattenti. In memoria di Elk Eber appare un articolo sulla Nationalsozialistische Monatshefte 12. J. 1941 Heft 138 a firma di Waldemar Hartmann. Nel novembre del 1944 cade sul fronte dell’est il figlio diciannovenne Kurt. Molti dei dipinti di Elk Eber a soggetto politico e militare trafugati alla fine della guerra giacciono in un deposito militare di Washington non accessibili al pubblico.
Elk Eber: Maler und Indianerfreund
di Harm Wulf
Es war im Jahre 1966 als ich das erste Mal vor dem Bild der “Indianerschlacht am Little Big Horn” im damaligen Indianermuseum Radebeul stand. Ich war von diesem Bild tief beeindruckt. Alles sah so authentisch aus, die Kleidung und die Waffen der Indianer stimmten, nach dem was ich damals davon wußte, genau mit historischen Objekten überein. Wer war der Maler, der ein derartiges Gemälde schuf? War es “nur” ein Maler, der genau recherchierte, hatte er die Kleidung einfach von Museumsstücken abgemalt ?
Die geheimnisvolle Signatur “Elk Eber Heraka ska” tat ein übriges. Sie weckte Neugier auf den Maler mit dem Lakotanamen, der offensichtlich zum Vornamen paßte. Die Antwort des damaligen Museumsleiters Paul Siebert warf nur neue Fragen auf: Elk Eber wäre ein Maler, der sehr gut mit Patty Frank bekannt war. Aber er sei in der Nazizeit ein bekannter Künstler gewesen.
Eine kurze Erwähnung Elk Ebers in einer Künstlerenzyklopädie bestätigte die Aussage Sieberts. Vor 1989 war zu diesen Informationen auch nicht viel dazugekommen, zu groß war das Tabu, das in den Jahren der DDR mit der Zeit zwischen 1933 und 1945 verbunden war. Erst ab 1990 begann ich mich wieder mit der Thematik zu beschäftigen. Mit den Jahren kamen ständig neue Informationen dazu. Orte seines Wirkens wurden besucht. Leider konnten nur noch wenige lebende Zeitzeugen befragt werden, und mancher sprach erst über ihn , wenn klar war, daß mich seine politischen Ansichten nicht interessierten. Bei einigen gab es aber auch aus unbekannten Gründen keine näheren Auskünfte. Der Vortrag wird mit Dias illustriert die leider eine sehr schlechte Qualität aufweisen. Ich bitte hierzu um Entschuldigung.
Meist sind es Repros von Fotos die unter ungünstigen Bedingungen “per Hand” gefertigt wurden. Diese wurden nochmals auf Dias kopiert. Da aber viele Bilder und Fotos vorhanden sind, habe ich mich entschieden diese Bilder zu zeigen um den Vortrag etwas zu illustrieren. Der Stammbaum der Familie Eber reicht weit zurück. Lange befand sich das Weingut am Haardter Mandelring im Besitz der Familie. Als Wilhelm Emil Eber am 18. April 1892 in diesem Haus geboren wurde, befand sich das Gut im Besitz seines Vaters und dessen zwei Brüdern. Entgegen der protestantischen Familientradition wurde Emil am 14. Mai in der katholischen Kirche von Neustadt an der Haardt katholisch getauft. Dies wird wohl auf Betreiben seiner Mutter, die als einziges Mitglied der Familie aus katholischer Tradition stammte, geschehen sein. “Im Jahr des Herrn 1892 wurde der am 18. April geborene Sohn der Eheleute Friedrich Wilhelm Eber und der Rosalia Sybylla Eisele vom hochwürdigen Herrn Dauscher getauft und der Name Wilhelm Aemilianus gegeben. Die Paten waren Aemilianus und G. Eisele. Dies bezeuge ich (unleserliche Unterschrift), Pfarrer.” Die ersten Schuljahre vom 7. bis zum 9. Lebensjahr absolvierte Emil in der Volksschule seiner Geburtsgemeinde Haardt, dem “Balkon der Pfalz”.
Am 17. September 1901 bestand Emil Eber die Aufnahmeprüfung des K. humanistischen Gymnasiums zu Neustadt an der Haardt und begann am 18. September um 8 Uhr zusammen mit 40 weiteren Schülern den Unterricht. Zum Lehrstoff gehörte neben Deutsch und Mathematik vor allem Sprachen wie Latein, Griechisch, Französisch und Englisch sowie künstlerische Fächer, beispielsweise Musik und Zeichnen. Naturwissenschaften waren kein Schwerpunkt im Unterricht, und in all den Jahren am Gymnasium war außereuropäische Geschichte nur mit 5 Stunden im Stundenplan enthalten. Als Abschluß der 9. Klasse des Gymnasiums fanden vom 20. bis zum 23. Juni 1910 die schriftlichen Absolutorialprüfungen statt. Dieser Prüfung unterzogen sich 26 Abiturienten welche dann in den letzten Tagen des Schuljahres noch die mündlichen Prüfungen zu absolvieren hatten. Nach dem Jahresbericht des Gymnasiums gedenkt sich nach eigenen Angaben ein Absolvent “dem Berufe eines Kunstmalers zu widmen”.. Der feierliche Schulabschluß des Gymnasiums fand am 14. Juli vormittags 9 Uhr statt. Emil Eber ging nach dem Abitur 1910 sofort als Student der Kunstgeschichte und Anatomie an die Universität München, wechselte 1911 zunächst an die Kunstgewerbeschule und studierte danach mit Unterbrechung durch den 1. Weltkrieg von 1912 bis 1918 an der Akademie der bildenden Künste München, wo er am 3. Mai 1912 unter Nr. 5079 eingetragen wurde. Als Kunstfach war angegeben: “Zeichenschule Hahn”. Im Jahre 1911 war der Student Emil Eber für einige Zeit Mitglied einer Burschenschaft der Münchner Studenten: dem “Korps Rhena-Paletia”.
Offensichtlich war die Zugehörigkeit jedoch nur von kurzer Dauer. Über seine Studienzeit und den erreichten Abschluß ist nichts weiter bekannt, da die Unterlagen der Akademie im 2. Weltkrieg durch Brand vernichtet wurden. Die Studienzeit Ebers wurde durch den Ausbruch des 1. Weltkrieges unterbrochen.
Nach biographischen Quellen meldete sich Eber freiwillig an die Front.
Vieles spricht dafür, daß er nicht, wie in einigen Presseveröffentlichungen angeführt, als regulärer Infanterist diente. Nach eigenen Angaben war er ” im Auftrage der Abteilung III/6 des großen Generalstabes als Kriegsmaler bei verschiedenen Truppenteilen”. Da er auch in den Unterlagen des Bayerischen Kriegsministeriums nicht namentlich als Kriegsmaler benannt ist, wird vermutet, daß er auf eigenen Wunsch auf Frontreise geschickt und den genannten Regimentern zugeteilt wurde bei dem Einsatz an der Front wurde Eber “Schwerhörig infolge Verschüttung im Felde” einige Quellen sprechen auch von einer Gehörverletzung durch Granatexplosion. Aus der Zeit seiner Tätigkeit als Kriegsmaler sind eine Anzahl von Aquarellen, Bleistiftzeichnungen und eine Rötelzeichnung erhalten Diese Werke belegen, daß er Kampfeinsätze und Gasangriffe in vorderster Front miterlebt hat und das Leben der Soldaten in den Gräben festgehalten hat. So erlebte er Angriffe am Hohenzollernwerk, in den Schlachten am Chemin des Dames und bei Fromelles in Frankreich . Neben Aquarellen von Kampfhandlungen entstanden auch einige Porträts von Soldaten und Milieustudien wie z. B. “Leutnant Wildegger bei der Morgentoilette 6 Uhr Nachmittags”. Leider war es zu teuer einige Kopien von diesen Bildern für den Vortrag fertigen zu lassen. In diesen Werken wird schon seine Vorliebe für Aquarelle und sein Talent zu Portraitzeichnungen deutlich. Einige Motive wurden später von ihm auch zu Lithografien verarbeitet, welche teilweise publiziert wurden. Trotz umfangreicher Recherche konnten leider keine Einzelheiten zu seiner Verwundung gefunden werden. In den Stammrollen der Bayrischen Armee und auch in den Krankenakten der Verwundeten des 1. Weltkrieges ist Eber nicht auffindbar Auch zu dem “Auftag des großen Generalstabes” konnten keine Hinweise gefunden werden. Im Jahr 1918 trat Elk Eber der Münchner Freimaurer-Loge “Sturmfried” bei. Seine Mitgliedschaft war jedoch kurz und dauerte nur bis zum Jahr 1919 . Dieser “Fleck in der Personalakte” Ebers wird ihm später noch einige Probleme bereiten, da die Freimaurer vom Nationalsozialistischen Regime und der NSDAP verfolgt wurden. Elk Eber wurde am 20. April 1937, zwei Tage nach seinem 45. Geburtstag, von Hitler diesbezüglich begnadigt ( also noch vor der allgemeinen Amnestieverfügung vom April 1938 ). Die Mitgliederzahlen der Logen nahmen in den Jahren nahmen von 1918 bis zur Mitte der zwanziger Jahre in ganz Deutschland stark zu, bevor sie mit dem Erstarken des Nationalsozialismus wieder abnahmen.
Über die Werbung des Ordens in der damaligen Zeit heißt es: “Mit pathetischen Worten beschwor es zunächst die Einsamkeit des Einzelnen in den Wirren der Nachkriegszeit, um schließlich mit den lohnenden und verläßlichen Bindungen zu locken, die sich dem Aspiranten beim Eintritt in die Loge eröffnen würden” . Ein Zentrum der konservativen Kräfte war das bayerische “Oberland” um Garmisch und Partenkirchen – das Werdenfelser Land. Es ist sicher, daß Ebers Kontakte zu einigen bayerischen Frontkameraden dorthin weiterbestanden. (bayrisches Infanterieregiment 16 “List”) Es bildeten sich paramilitärische Verbände. Am 28. April 1919 wurde auch Emil Eber Mitglied der Ortswehr Partenkirchen. Am 29. April wird in der Presse und mit Plakaten zum Eintritt in das Freikorp “Werdenfels” geworben. Eber ist mit der Mitgliedsnummer 11 einer der ersten der sich in die Meldeliste einträgt.
Bereits am 1. Mai fährt eine ca. 270 Mann starke Truppe des Freichors Werdenfels per Bahn nach München um an Aktionen gegen die proklamierte Räterepublik teilzunehmen. Das Freikorp wird Oberst Ritter von Epp unterstellt und ist an Maßnahmen in den Münchner Stadtvierteln Harlaching und Giesing beteiligt. Für die Einwohnerwehr entwirft er ein Plakat für das erste Gauschießen der Ortswehren des Oberlandes vom 18. Bis 20. Oktober in Partenkirchen. Das Motiv – ein kniender Schütze in zünftiger Tracht – wird auch als Postkarte verbreitet. Am 30. August 1919 heiratet er Frau Gerda Körnner die allerdings bereits im März 1921 verstirbt. Über diese erste Ehe ist nicht viel bekannt, sie bleibt kinderlos. Mitglieder des ehemaligen Freikorps Werdenfels zählten zum Kern der sich entwickelnden nationalsozialistischen Bewegung in München. Ebers Kontakte dorthin waren sehr ausgeprägt. Er war Teilnehmer des Aufmarsches auf dem Oberwiesenfeld im Mai 1923. In diesem Zusammenhang beteiligte er sich am 9. November 1923 auch an dem “Marsch auf die Feldherrenhalle” und weiteren damit im Zusammenhang stehenden Ereignissen in München. Wieder hielt er die Ereignisse mit dem Skizzenblock fest , so zum Beispiel das Geschehen am Odeonsplatz und in der Briennerstraße am 10. November, wo Polizei gegen die “Oberländer” vorging.
In den Kämpfen wurde Eber niedergeschlagen und verlor dadurch das Gehör auf dem rechten Ohr nunmehr vollständig. Für die Teilnahme an diesen, auch als “Hitler-Putsch” bekannt gewordenen Ereignissen wurde Eber am 15. 11. 1934 der “Blutorden” (Nr 1206) der NSDAP verliehen den nur Personen erhielten die bei diesen Ereignissen verwundet wurden. Am 6. Juli 1925 trat er unter Mitglieds-Nr.: 10013 der NSDAP bei. Am 28. Februar 1924 heiratet Emil Eber das zweite Mal. Seine Frau Irmgard ist die Tochter des bekannten Münchner Frauenarztes Faltin. Es ist eine gutaussehende und lebenslustige junge Frau die in der Barerstraße 48, dem Haus ihrer Eltern ein Modeatelier eröffnet hatte, in dem das Ehepaar Eber dann auch wohnte. Für die “Modewerkstätte Eber-Faltin” zeichnete er Entwürfe im Stil der damaligen Mode. Kennengelernt hatte er seine Frau vermutlich in Garmisch, wo sie sich öfters aufhielt und wo die Mitglieder des Freiskorps nicht nur einheimischen Mädchen “den Kopf verdrehten”. Bei dem sehr liberalen und weltoffenen Arzt Faltin stieß die Ehe seiner Tochter mit dem nationalsozialistisch gesinnten Eber auf Ablehnung. So waren die Eltern der Braut auch nicht bei der katholischen Hochzeit zugegen. Die Ablehnung blieb erhalten, auch wenn die Eber´s manchmal am Sonntag zum Mittagessen bei der Familie Faltin eingeladen waren.
Emil Eber konnte sich wegen seiner Schwerhörigkeit an Gesprächen bei Tisch sowieso nicht beteiligen und so saß er nur schweigend und aß mit großem Appetit. Am Schluß bedankte er sich in seiner rustikalen Pfälzer Art bei den Gastgebern mit einem einzigen Satz: “s´ ìsch guard gwä” . Dies war für Herrn Dr. Faltin stets ein neuer Schock. Am 5. Mai 1925 wurde ein Sohn geboren, welcher auf den Namen Kurt getauft wurde. Zahlreiche Aufnahmen aus dem Familienalbum belegen, daß der Maler das Werdenfelser Land oft mit der Staffelei im Gepäck durchwanderte und dabei manch schönes Motiv skizzieren konnte. Mit derartigen Motiven wird Eber auch zunächst bekannt. In der ersten Veröffentlichungen des Bildes “Schijörning” in den “Westermanns Monatsheften” heißt es über den Maler: ” Elk Eber, der Maler der “Märzensonne auf der Hochalm”, ist ein Rheinpfälzer von Geburt, hat sich aber in München und in Garmisch, wo er nach vielseitigen gelehrten und künstlerischen Studien sowie bewegten persönlichen Schicksalen seine Wahlheimat gefunden und sein Atelier gebaut hat, so an die Schönheiten des Hochgebirges verschenkt, daß er fast zu einem Spezialisten des allerdings unerschöpflichen Themas “Berge und Menschen” geworden ist. Sonne und bewegte schöne Körper im Licht – immer kehrt dies Motiv bei ihm wieder, ob er nun Akte, Sport- und Pferdebilder, Bildnisse von Männern und Frauen oder Bergsteiger, Führer und Skiläufer malt.” Und in der 1942 im Kunstverein München veranstalteten Gedächtnisausstellung hieß es: “… aber sein Interesse galt ebenso dem Sportsleben, wo er den Skifahrer, den Bergführer in bestimmten Typen festgehalten hat und der Landschaft und besonders seinen geliebten Bergen, die er im Sommer und Winter in ihrer Formung und Tönung unermüdlich erforschte und malte.” Eber ließ er sich im Atelier von Kunstphotograph Carl Zwikl, Garmisch-Partenkirchen sogar als Bergsteiger fotografieren. Eber hatte Kontakte zur Sektion des Deutschen Alpenvereines und zu deren Gründer und langjährigen Vorsitzenden Adolf Zoeppritz den er 1928 auch porträtierte. Als die Sektion, nach dem Bau der Kreuzeck-Personenschwebeseilbahn im Jahre 1926 die Berghütte am Kreuzeck, das “Adolf Zoeppritz-Haus” grundlegend umbaute, gestaltet Elk Eber 1928 im Treppenaufgang ein Fresko mit einem Bergsteigermotiv. Diese Werke und auch das Bild “Der Bergführer” sind auch heute noch in der Hütte zu besichtigen.
An dieser Stelle sollen noch einige Bemerkungen zur Person Elk Eber stehen: Er war 1,79 m groß hatte blaue Augen, dunkelbraune Haare und eine Narbe am linken Auge. Durch seine fast völlige Taubheit war er oft von der Konversation mit seiner Umgebung ausgeschlossen, war nur “Zuseher” und wirkte deshalb meist verschlossen. Seiner Frau kam eine Mittlerrolle zu, ihr las er die Worte vom Munde ab. Ein Dialog war oft nur möglich, wenn die Fragen aufgeschrieben wurden. Als Typisch für ihn wurde von allen die ihn kannten beschrieben, daß er nahezu ständig seine Pfeife rauchte. So ist er auf vielen Fotos und auch auf einem bekannten Selbstporträt mit Pfeife zu sehen. Bezeichnenderweise manchmal mit einer “Corncob”-Pfeife, was sicher auf Einflüsse des Western-Hobbys zurückzuführen ist. In das Jahr 1925 fällt der früheste mir bekannte Kontakt zu Indianern und damit der erste Beleg für das Interesse Ebers an den Ureinwohnern Amerikas: In seinem Atelier porträtierte er am 25. März “Chief Black Wolf” einen , wie es hieß, 105 Jahre alten Häuptling, der in Oklahoma geboren war und mit einem anderen Indianer namens Thomas Reynold in München weilte. Es entsteht ein Ölbild (124 x 85 cm; heute KMM Radebeul) Gast im Atelier war Franz Xaver Lehner, ein Mitglied des “Cowboy-Club München Süd”, dessen Mitglied Elk Eber war.
Dies bezeugt, daß er mindestens ab 1925 Kontakt zu dem Verein hatte. Ab wann er als Mitglied geführt wurde, läßt sich heute nicht mehr exakt ermitteln.
Von da an entstehen einige Bilder mit indianischen Motiven wie das Ölbild von “Two Arrows” (1927) oder ein Aquarell mit einem “Indio zu Pferde” (1928). Ein Höhepunkt für den Indianerfreund Elk Eber stellte zweifellos das Jahr 1929 dar. Im Juli gastierte der Dresdener Zirkus Sarrasani auf der Münchner Theresienwiese. Sarrasani hatte, dem Beispiel früherer Wild-West-Shows a la Buffalo Bill, oder von Völkerschauen wie denen von Hagenbeck folgend, schon ab 1913 zeitweise Indianertruppen unter Vertrag. Im Jahre 1929 war das eine zumeist aus Sioux-Indianern der Pine Ridge Reservation in South Dakota bestehende Truppe mit ihrem Häuptling “White Buffalo Man”. Mit seiner Frau Irmgard und weiteren Freunden besuchte er die Vorstellung und ließ sich zusammen mit White Buffalo Man fotografieren.
Natürlich fanden auch außerhalb der regulären Zirkusveranstaltungen Treffen statt. Der Cowboy-Club München hatte am 5. August 1929 unter anderem den Manager der Indianertruppe Clarence Shulz , dessen Gattin und White Buffalo Man zu Gast im Vereinsheim. In der Vereinschronik heißt es dazu “… Der neue Häuptling White Buffalo Man erhielt vom Club als Ehrengeschenk einen prächtigen Tomahawk … Dafür überließen die Indianer dem Club einen Sonnentanzschmuck für 20 RM . Der Ehrenabend der anläßlich des Besuchs des Clarence Shulz aus Oklahoma stattfand und bei denen die Boy´s in ihren Cowboy- und Indianerkostümen erschienen, machte einen äußerst gemütlichen Verlauf. Zu später Stunde brach man auf. …” Die Indianer fanden sich in diesem Zusammenhang auch zu einem Fototermin im Tierpark Hellabrunn ein.
Eber malte unter anderem Aquarelle von Hollow Horn und anderen Indianer der Truppe. Besonders gelungen erscheint mir eine Aquarellstudie tanzender Indianerkinder mit dem Titel “Kindertanz der Sioux” (1929). White Buffalo Man wurde dabei mehrfach dargestellt: als Tänzer mit Showkleidung und nochmals als Ölportrait im Profil, wobei seine “indianische” Hakennase wunderbar zur Geltung kommt.In seinem Atelier Elisabethplatz wird Elk Eber im August 1929 im Kreise seiner Freunde vom Cowboy-Club München feierlich in den Stamm der Sioux aufgenommen. Die in diesem Zusammenhang ausgestellte “Stammesurkunde” hat folgenden Wortlaut: “By the Grace of God. This is to certyfy that on August 1929 I conferred upon Herrn Elk Eber painter artist the title and name Chief He-Ha-Ka-Ska of the Dakota tribe. Big Chief White Horse Eagle”. Die mit dieser Ernennung zum Häuptling aller Dakota verbundene Ehre kann man sicher erst richtig würdigen, wenn man die Schilderung von Hans Stosch Sarrasani zu dieser Thematik liest: “Von irgendwo hatte er (Sarrasani) gehört, daß in Berlin ein 107 Jahre alter Indianerhäuptling eingetroffen sei, der nachweislich der Fürst aller Indianer in den USA lebenden Indianer sei. … Der Häuptling lebte im Centralhotel auf ganz großem Fuß und weigerte sich in der Manege aufzutreten. … Wir wurden uns einig, daß er als Gast unsere Sioux besuchen und sie inspizieren sollte. Wir schlossen unter vielen Zeremonen diesen Vertrag. … Weißes Pferd Adler wurde augenblicklich der Liebling des Publikums, und er wurde gefeieret wie ein Held ohnegleichen. …Er schlug die Bürgermeister, Stadträte, Stadtverordneten, Polizeidirektoren scharenweise zu Siouxhäuptlingen, und er unternahm und erledigte solche Feierlichkeiten mit einem (von dem neuen Häuptling zu bezahlenden) erheblichen Quantum Alkohol. … Es war geradezu ein literarischer Leckerbissen, mit welch genialem Tempo er für die neuen Häuptlinge Namen erfand”. Der Indianername Hehaka Ska für Elk Eber war äußerst zutreffend, da ja “Elk” im Amerikanischen den Wapiti-Hirsch bezeichnete, was in der Lakotasprache “Hehaka”. hieß. Möglicherweise stand das “Ska” (weiß) dafür, daß er nun einmal ein “Weißer” war.Es ist zu vermuten ,daß dieser Namensvorschlag nicht von Big Chief White Horse Eagle kam, der ja selbst kein Lakota war und diese Sprache nicht sprach.
Vermutlich war es ein “Wunschname” von Eber selbst. Auf jeden Fall dürfte der Ursprung des Künstlernamens Elk in diesem “indianischen” Zusammenhang zu suchen sein und nicht auf eine “Germanisierung” zurückzuführen sein, wie einige nationalsozialistische Chronisten zu wissen glauben. Über den genauen Zeitpunkt, wann Emil Eber sich den Künstlername “Elk” zulegte, ist im Verlauf der Recherche nichts bekanntgeworden. Die früheste Erwähnung dieses Namens stammt aus dem Jahr 1925; die erste bekannte Signatur eines Bildes befindet sich auf den Ölbild “Der Bergführer” ebenfalls von 1925. Er gab auch in offiziellen Fragebögen seinen Namen mit Elk-Eber und den Vornamen Emil an. Neben den Indianerbildern des Malers ist auch die Eber´sche Sammlung indianischer Ethnografika in diesen Jahren schon sehr ansehnlich.
Fotos vom September 1929 belegen, daß Elk Eber bereits zu dieser Zeit über einen umfangreichen Bestand verfügte. In seinem Atelier stand ein kleines Tipi und diverse indianische Gegenstände vornehmlich der Plainskultur waren malerisch an den Wänden ausgestellt. Ab und zu zog der Maler diese Kleidungsstücke auch selbst an, wie zahlreiche Fotos von Franz Xaver Lehner belegen. Offensichtlich wurde im Atelier öfters mit den Freunden vom Cowboy-Club “indianisches Brauchtum” gepflegt. Es ist aber anzunehmen, daß bei jeder Begegnung mit Indianern einige Stücke durch Kauf erworben wurden.
Dies könnte also 1925 begonnen haben und wurde im Jahr 1929 mit Sicherheit zielstrebig weiterverfolgt. Wie auch unter den Sammlern in der damaligen Zeit üblich, wurden Ethnographica untereinander getauscht, und so stand auch Elk Eber in Verbindung mit vielen bekannten Sammlern der damaligen Zeit z. Bsp. auch mit Patty Frank. Vom 7. bis zum 12. Dezember 1929 besuchte Elk Eber erstmals das Radebeuler Museum und seinen Freund Patty. Seine Eintragung in das Gästebuch des Museums verband er mit einer Zeichnung. Im September 1930 reinigte und bemalte Eber im Auftrag des Museums für 35 RM eine Büste in seinem Münchner Atelier. Vermutlich handelte es sich hier um die Winnetou-Büste, was Franz Xaver Lehner wieder im Foto festgehalten hat.
Diese Büsten aus Pappmache und Gips waren eine Serienfertigung des Karl-May-Verlages die zu Werbezwecken vertrieben wurden. In dieser Zeit fotografierte Lehner auch Ebers umfangreiche Sammlung indianischer Ethnografica. Beim Studium dieser Bilder fallen zwei Objekte auf, die sich heute eindeutig im Karl-May-Museum befinden. Dies belegt, daß der Tausch von Objekten unter Sammlern auch damals üblich war. In einem Brief von Elk Eber an Patty über Honorarfragen für weitere Arbeiten liest sich das dann so: “.. Ich verlange äusserst: Für die Büsten und ½ Figuren je 30.- M. Für die ganze Figur 50.- . Falls mir die Reise und Aufenthaltskosten voll vergütet werden. … Davon wären mir vor Antritt der Reise 50.- Vorschuss zu schicken. … Eventuell würde ich für 20.- ein gutes Indianerstück nehmen.
Darauf kann ich mich aber nicht festlegen ehe ich das in Frage kommende Stück gesehen.” Bei den Radebeuler Objekten aus der Sammlung Eber handelt es sich um den Quill-Brustschmuck (Kat. Nr. 985) “nach Art der Knochenbrustschmucke aus einem Stück Rohaut hergestellt … die mit Stachelschweinborsten umwickelt sind” und um eine Weste der Crow (Kat. Nr. 1019) “…Weste von rein europäischen Schnitt … Beide Vorderteile mit Stachelschweinborsten bestickt”. Auf beiden Karteikarten des Museums (von Hermann Dengler erstellt) befinden sich keine Erwerbsangaben. Den umgekehrten Weg ging ein Frauenumhang der Apachen, welcher unter Kat. Nr. 489 geführt wurde und der auf den Fotos der Eber´schen Sammlung von 1931 gut zu erkennen ist. Hier ist allerdings auf der Karteikarte vermerkt “vertauscht Eber”. Jahre 1931 beginnt Elk Eber als Mitglied des Cowboy-Club München ein interessantes Projekt für diesen Verein: Er zeichnet eine Porträtserie, bei der jedes Mitglied mit der eigenen Cowboy- oder Indianertracht porträtiert wird. Dazu sitzen die Clubmitglieder in seinem Atelier Modell. Von den vorliegenden 36 Porträts ließen sich 19 Mitglieder als Cowboys oder Mexikaner, 16 als Indianer und einer (Xaver Lehner) als Trapper porträtieren. Auch ein Selbstporträt von Elk Eber ist dabei – selbstverständlich als “Indianer”. Am 23. April 1932 wurde die Galerie unter Anwesenheit einiger Ehrengäste im Verein feierlich enthüllt. Bei dem Zeremoniell waren die Mitglieder mit ihrer jeweiligen Tracht anwesend. Über den Verbleib der meisten Bilder ist nichts bekannt, wohl aber gibt es Fotokopien davon. Auch in anderer Hinsicht machte der Cowboy-Club im Münchner Vereinsleben von sich reden. Der Verein beteiligte sich am Faschingstreiben. Belegt ist ein Faschingsball 1931, 1932 und 1933 sowie ein Faschingskehraus 1932 und ein Wild-West Ball 1933. Auf der Einladung zum 32´er Spektakel heißt es: “In den Tanzpausen Auftreten von Stepptänzern, Lassowerfern usw. Ferner Kriegstänze der 30 Mann starken Sioux-Indianertruppe unter Führung ihres Chiefs “Bob red Cloud”. Auf vielseitiges Verlangen heuer wieder lebende Bilder aus der Zeit des einstigen Wilden Westens, gestellt von den Mitgliedern des Clubs, zu Pferd und Fuß in ihren Prachtvollen Original-Kostümen, Sattelzeugen usw.” Dazu heist es in der Vereinschronik des Cowboy-clubs: “Der Ball war wie immer gut besucht. Er brachte sogar 60 Besucher mehr als der vorjährige. Die Aufführungen fanden regen Beifall. Lassoarbeiten wurden von Mitglied Höfler und Ostermann übernommen. Peitsche von Frank u. Schmittner. …Indianertanz wurde von den 30 Indianern und Squaws des Clubs erledigt. Die lebenden Bilder übernahmen Höfler und Eber. Der Kehraus am Faschingsdienstag brachte ebenfalls noch eine große Anzahl Besucher. Die Aufführungen wurden besorgt von den Mitgliedern Höfler, Ostermann. Am Lasso arbeiteten Frank und Schmittner, Peitsche, Lebende Bilder: Regie: Höfler und Eber. Der Überschuß war bei den beiden Veranstaltungen zufriedenstellend. Gez. Fred Black”. In einem Brief an einen befreundeten und gleichfalls indianerbegeisterten Dresdener schrieb Eber im Dezember 1932: “Wir sind bereits im Training für das Faschingsfest, das am 21. Januar stattfindet. Zur Zeit ist pfeilschießen vom galoppierenden Pferd das Neueste.” Im Jahr 1932 war Elk Eber wieder mit Arbeiten für das Karl-May-Museum Radebeul betraut. Die Präsentation der Ausstellungsstücke mittels lebensgroßer Indianerfiguren war von Vittorio Güttner, ebenfalls eines Münchner Künstlers, begonnen worden. Eber und Güttner kannten sich gut, sie waren beide Mitglieder des Cowboy-Clubs München und passionierte Sammler indianischer Ethnographica. Eber bemalte die Figuren des Comanchen und des Sioux-Hauptlings für das Radebeuler Museum. Zu diesem Zweck wurden die Figuren warscheinlich nach ihrer Fertigstellung durch Güttner in Ebers Münchner Atelier gebracht. Es gibt keine gesicherten Belege dafür, daß Eber selbst an der Schaffung dieser Figuren beteiligt war. Fotos beider Figuren in Ebers Atelier belegen lediglich, daß in München verschiedene Varianten der Bekleidung ausprobiert wurden, bis man sich schließlich auf die noch heute sichtbare Präsentation einigte. In einem Brief an Patty Frank schreibt Elk Eber: “Das der Komantsche Ihnen gefallen würde habe ich mir schon gedacht. Es ist nur schade, dass ich wegen der dummen Geldfrage so schlechter Stimmung bei der Arbeit war. Sonst wäre er sicher noch viel besser geworden. Es wundert mich, warum der Verlag jetzt nicht einfach einen Dekorationsmaler engagiert und die anderen Figuren nach dem Muster malen läßt. Oder haben die Herren duch eine Schwache Ahnung, dass es vielleicht doch nicht ganz so würde, wie wenn ich es machen würde.” Wenige Tage darauf antwortet ihm Dr. Euchar Schmid, geschäftsführender Gesellschafter des Karl-May-Verlages zurück: ” Herr Patty Frank übergab mir Ihren Brief vom 29. Mai . Über die frühere Honorarfrage, die sie darin anschneiden, werden wir uns, da sie ja doch hierher kommen muendlich unterhalten. Ich meinerseits spiele bei der ganzen Angelegenheit gleichsam die Rolle des Bankiers, das heisst, ich habe zu zahlen, was anderweit vereinbart wird.” Mit dem Angebot für die Arbeiten im Frühjahr 1932 wurde man sich einig. Es ging um die Bemalung des Irokesen, einer weiteren lebensgroßen Indianerfigur von Vittorio Güttner, sowie weiterer 3 Büsten und 2 Halbfiguren, die diesmal im Radebeuler Museum bemalt werden sollten. Dies alles für zusammen 200,- RM zuzüglich 50,- RM für Spesen und Unterkunft. Elk Eber reiste Ende Juli nach Dresden, wo er bis zum 2. August daran arbeitete. Bei seinem Aufenthalt wohnte er im Bahnhof Radebeul, wo es einige Fremdenzimmer gab. Sein Vorschlag, im Blockhaus zu wohnen und während dieser Zeit mit Patty zu essen, wurde von Herrn Schmid abgelehnt “da im Blockhaus kein Raum frei ist”. Am 28. Juli quittierte Elk Eber den Erhalt des Honorars. Neben den in Auftrag gegebenen Werken für das Museum bereicherte er seine Gästebucheintragung durch die sehr schöne Zeichnung eines indianischen Bogenschützen. Bereits Anfang Juli 1933 weilt Elk Eber wieder in Radebeul. Möglicherweise wurden hier die von ihm bemalten Indianerfiguren in das Museum gebracht. Im Tagebuch verewigte er sich am 5. Juli mit der Zeichnung eines Indianers, der gerade einen Feind skalpiert. Patty Frank´s Erzählungen unter dem Titel “Ein Leben im Banne Karl-Mays”, wurden durch Elk Eber illustriert wurde. Die erste Auflage kam 1935 im Karl-May-Verlag herausund beinhaltete 9 Federzeichnungen Ebers zu persönlichen Erlebnissen seines Freundes Patty. Das Titelbild der ersten Auflagen war von Carl Lindeberg, spätere Auflagen erscheinen mit einem Titelbild von Elk Eber. Es zeigt Patty Frank in Wildwestkleidung und pfeiferauchend am Kamin. Ein ähnliches Motiv von Elk Eber bei dem Patty rauchend im Kreise anderer Indianer sitzt wurde damals übrigens als Werbemarke des Karl May Museums verbreitet. 1936 wurden Umbauten zur Erweiterung des Karl-Mai-Museums durchgeführt Neben der baulichen Erweiterung durch großzügigere Ausstellungsräume, die an das Blockhaus angebaut wurden ohne den Charakter des Wildwest – Blockhauses zu zerstören, wurde die Wohnung von Patty Frank in das ausgebaute Dachgeschoß verlegt und im ehemaligen Schlafzimmer Pattys das Diorama “Heimkehr von der Schlacht” konzipiert. Die Wand wurde mit Leinwand beklebt , so daß mit Ölfarben gemalt werden konnte. Elk Eber gestaltete die Rückwand des Dioramas mit einem Bild lebensgroßer heimkehrender Krieger, die in vollem Galopp auf das Lager zu reiten. Im Hintergrund des Bildes ragen die steilen Berge des “Felsengebirges” auf, was so manchen Dresdener an die Kulisse der Basteifelsen in der nahen sächsischen Schweiz erinnern mochte. Die Figuren wurden wiederum von Vittorio Güttner geschaffen, der allerdings kurz vor deren Vollendung verstarb, und so mußte sein Sohn Bruno Güttner diese vollenden. Die einzige Indianerplastik im Radebeuler Museum die höchstwahrscheinlich von Elk Eber selbst stammt ist die (ca. 70 cm) hohe und 1932 signierte Figur von Sitting Bull. Bei der Wiedereröffnung des Museums am 19. Februar 1937 wurde den Besuchern noch eine Neuerwerbung präsentiert: Das Ölgemälde der Custerschlacht. Es kostete damals übrigens 3000,- RM. Seit 1929, wo die ersten Aquarellstudien dazu entstanden, war Eber mit diesem seinem bekanntesten Bild zur indianischen Thematik beschäftigt. Bisher konnte nicht zweifelsfrei geklärt werden, ob das Ölbild Ebers ein Auftrag war, ob es auf den Wunsch von Patty Frank gemalt wurde, oder ob Eber es aus eigenem Interesse schuf. Zentrale Figur des Aquarells und auch des späteren Ölgemäldes ist ein Indianer, der mit einer Keule den Fahnenträger niedergeschlagen und die Flagge erbeutet hat. Bei dem Indianer soll es sich um den Hunkpapa Rain in the Face (Ite o magazu) handeln.. In einem Bericht über die Schlacht sagte Rain in the Face einmal: “… Ich stuerzte mich hinein und nahm ihre Fahne. Main Pony fiel tot nieder als ich sie nahm. Ich sprang auf und schlug den Langmesser-Fahnenmann mit der Kriegskeule den Schaedel ein und rannte mit der Fahne zurueck zu unserer Linie … “. Am Beispiel dieser Bilder läßt sich gut nachweisen, daß Eber zwischen dem Entstehungszeitpunkt des Aquarells (signiert 1929) und der Fertigstellung des Ölbildes (signiert 1936) sowohl seine Kenntnisse der ethnografischen als auch der militärhistorischen Seite dieser Schlacht verbessert hat. So wurde die Keule verändert. Statt der noch auf dem Aquarell zu sehenden “Gewehrkolbenkeule” wurde im Ölbild eine Steinkeule mit elastischem Stiel verwendet, die für die Hunkpapa-Lakota typischer war. Eine wichtige Änderung gibt es außerdem bei der erbeuteten Fahne. Im Aquarell handelt es sich noch um die amerikanische Nationalflagge (“Star Sprangled Banner”), im Ölbild ist es die persönliche Flagge General George Armstrong Custers. Zwar hatte jede der 12 Kompanien eine seidene Kompaniestandarte mit einem Sternen- und Streifen- Muster, aber die persönliche Flagge Custers drückt noch besser den Kampf “mitten im Zentrum der Schlacht” aus. In einem Artikel über die verschiedenen Darstellungen der Schlacht wird sogar behauptet, daß Elk Eber der Sohn eines Weißen und einer Sioux-Indianerin namens Little Elk, welche die Schlacht als Kind miterlebt hatte, war. Damit lebte eine Legende auf, die von einigen anderen Autoren ungeprüft übernommen wurde.Motive aus dem Eber-Bild bildeten interessanterweise auch von den vierziger Jahren an bis 1969 das Titelbild des “Custer Battlefield Handbook”- ein Zeichen der hohen Wertschätzung, welche Ebers Gemälde in amerikanischen Fachkreisen genoß.
Natürlich versuchte das Custer Battlefield National Monument, Montana, das Bild dem Radebeuler Museum abzukaufen. Ein Wunsch welchem selbstverständlich nicht entsprochen wurde. Mit der Wahl Hitlers zum Reichskanzler am 30. Januar 1933 wurde die NSDAP zur staatstragenden Partei in Deutschland. Damit änderten sich auch für den Kunstmaler Eber die Bedingungen für seine Arbeit. Mit der Machtergreifung der Nationalsozialisten wurde der in der Bewegung engagierte Eber plötzlich auch “künstlerisch” aufgewertet. Bereits im Jahr 1935 kaufte die Münchner Galerie am Lehnbachhaus ca.40 Zeichnungen Ebers aus der Zeit des ersten Weltkrieges und Skizzen der Kämpfe in München im Zusammenhang mit den Hitler-Putsch 1923 auf. Sowohl die heute noch lebenden Verwandten Ebers als auch andere Zeitgenossen des Malers haben immer wieder betont, daß Elk Eber bis 1933 nie über ein gesichertes Einkommen verfügte und ständig mit Geldmangel zu kämpfen hatte. Ab 1931 war er zwar als Zeichner für nationalsozialistische Zeitungen wie den “Völkischen Beobachter” und “SA-Mann” tätig, aber davon konnte man nicht leben. Der Verkauf von Bildern war wohl auch nicht so auskömmlich gestaltet, und so lebte die Familie größtenteils von den Einnahmen der Modewerkstätte Eber-Faltin. Ebers Sohn Kurt wurde weitestgehend von der Großmutter Luise und später bei Bekannten in einem Landheim am Ammersee großgezogen, weil die Mutter Irmgard durch den Betrieb der Werkstätte mit mehreren Angestellten sehr beschäftigt war und Elk Eber war oft in Garmisch und außerhalb Münchens weilte. Am 13 Mai 1936 wird Elk Eber von seiner zweiten Frau Irmgard Eber-Valtin geschieden. Über die Ursachen der Scheidung ist uns nichts bekannt. Es war aber eine Trennung “im Guten”, das heißt, man stand auch später noch miteinander im Kontakt – schließlich gab es ja den gemeinsamen Sohn Kurt.
Wenn es notwendig war, half er Irmgard auch noch manchmal, zum Beispiel bei der Organisation eines Umzuges in eine neue Wohnung. Als Unterhalt mußte Eber monatlich 80,- RM an seine geschiedene Frau und 30,- RM für seinen Sohn zahlen. 1936 verbringt er dann auch mehrere Monate bei der Verwandtschaft in seiner Heimatgemeinde Haardt in der Pfalz. Möglicherweise steht dies im Zusammenhang mit seiner Scheidung. Da er immer noch nicht über ein ausreichendes Vermögen verfügt, läßt er einige Bilder als Bezahlung für den Aufenthalt zurück. Eines davon ist ein Indianergemälde – ein Häuptlingsporträt in Öl, signiert 1936. Auf der Rückseite steht vermerkt: “Porträt des Cheyenne-Sioux-Häuptlings: Chief Wolf Robe”. Als Vorlage diente ein Foto von Frank A. Rinehard, das dieser 1898 auf der “TRANS MISISSIPPI AND INTERNATIONAL EXPOSITION” in Omaha, Nebraska angefertigt hatte. Wolf Robe ist auf diesem Foto in europäischer Kleidung abgebildet, was natürlich nicht das Klischee vom “Indianerhäuptling” bedient. Die Idee, dem Häuptling für das Porträt ein indianisches Lederhemd mit Glasperlenstickerei zu “geben”, stammt allerdings auch nicht von Elk Eber. Die Vorlage für sein Porträt bildete warscheinlich ein Zigaretten-Sammelbild der Firma Aviatik aus Breslau. Wolf Robe erhielt aber eine ordentliche Zopfumwicklung aus Otterfell und einen Halstuchhalter aus Metall mit ausgearbeitetem Stern. Silvester 1936/37 feierte Eber zusammen mit den Mitgliedern und Freunden des Cowboy-Clubs München Süd in deren Clublokal. Es war eine feuchtfröhliche Runde, bei der laut Vereinschronik allein 80 Liter Punsch den Weg durch durstige Kehlen nahmen …Man feierte dabei größtenteils in entsprechender “zünftiger” Cowboy- und Indianerkleidung, und mancher Gast setzte sich wenigstens den obligatorischen “Stetson” auf, um dazuzugehören. Elk Eber hatte sich eine perlenbestickte Lederjacke über das karierte Hemd gezogen und einen, eher zu einem Bergsteiger passenden Hut aufgesetzt. Am 19. Februar 1937 erfolgte dann in Radebeul die Wiedereröffnung des umgestalteten und Erweiterten Karl-May-Museums. In einer Pressekonferenz wird auch über den Anteil Ebers an dieser Neugestaltung gesprochen. Damit wird der Öffentlichkeit erstmals der Indianerfreund Elk Eber vorgestellt. Der Maler Elk Eber war bis zum damaligen Zeitpunkt meist nur durch seine Landschafts-und Sportlerbilder sowie zunehmend durch Soldaten- und SA-Bilder bekannt und von seinem Interesse für die Ureinwohner Amerikas wußte bis dahin nur ein kleiner Kreis von Freunden. Im “Illustrierten Beobachter” Folge 33 von 1937 wird Elk Eber als heroischer “deutscher” Maler und erstmals auch als Kenner des Indianerlebens vorgestellt ” dessen künstlerischer Ruf als Indianerbildmaler auch nach Amerika gedrungen ist “. Stolz wird weiter darüber berichtet, daß er gerade an einer Arbeit für den Präsidenten Roosevelt schafft. Bei dem Auftragswerk handelte es sich um ein Ölgemälde der “Schlacht am großen Kanawha” (Schlacht bei Point Pleasant) am 10. Oktober 1774. In dieser Schlacht kämpften etwa 1000 Shawnee unter Führung ihres Chiefs Cornstalk gegen etwa 1100 Mann amerikanische Siedlermiliz unter Colonel Andrew Lewis. Indianerinteressierte Zeitgenossen Ebers kannten die Schlacht damals auch aus der 1931 von Fritz Steuben erstmals veröffentlichten Schilderung im Band “Der Rote Sturm”. Den Auftrag für das Bild erhielt Elk Eber von einem Dr. Hertl, der es für den Präsidenten Franklin (D.) Roosevelt bei ihm bestellte.Das Bild wurde nie fertiggestellt, es existiert aber ein Kohleentwurf auf Leinwand im Rahmen (130 cm x 115 cm; heute im Karl-May-Museums Radebeul ). Offensichtlich plante Elk Eber hier ein Bild, daß mit dem Gemälde der Custerschlacht vergleichbar werden sollte.
Ab 1937 stellt Elk Eber alljährlich auf der “Großen Deutschen Kunstausstellung” in München aus. Insgesamt 16 seiner Ölgemälde werden im Laufe der Jahre dort gezeigt. Einige Werke wurden von Adolf Hitler persönlich erworben, wie zB. das Bild “Die letzte Handgranate”. Am 30. 1. 1938 wird er durch Adolf Hitler zum Professor ernannt. Zur Gaukulturwoche der Saarpfalz erhält er in der ersten Oktoberwoche des Jahres 1938 in Ludwigshafen den Westmarkpreis. Anläßlich der Preisverleihung weilt er kurz in seinem Heimatgemeinde Haardt/Pfalz. Als er vom Saarpfälzischen Verein für Kunst gebeten wurde eine Ausstellung in Ludwigshafen zu gestalten, fehlen ihm dazu repräsentative Werke. Daraufhin schreibt er am 17. 9. einen persönlichen Brief an Adolf Hitler und bittet um die Ausleihe dreier vom “Führer” angekaufter Ölbilder für diese Ausstellung. Die Bitte wird durch das Büro der Reichskanzlei abgelehnt. Auf jeden Fall sind die “mageren Jahre” nun vorbei. Elk Eber ist eine Persönlichkeit in deutschen Künstlerkreisen und unter den Nationalsozialisten. Seine Bilder werden angekauft – und zwar zu Preisen, die für die damalige Zeit durchaus respektabel sind. Das Werk “So war SA”, welches für die neue Reichskanzlei bestimmt war, kauft Hitler für 15.000,- RM. Der Cowboy-Club München-Süd feiert im Jahre 1938 sein 25-jähriges Vereinsjubiläum mit einer Veranstaltung im Clublokal Lindwurmstraße 48 in München. Zu der Feier sind natürlich auch wieder die Ehrenmitglieder des Clubs eingeladen: Elk Eber sitzt neben dem amerikanischen Kunstmaler Robert Lindneux, dem Bürochef der “Münchner Neuesten Nachrichten” Herrn Haug und Patty Frank. Am 3. und 4. August besuchte eine Gruppe von 4 Mitgliedern des Münchner Clubs das Radebeuler Karl-May-Museum Elk Eber, “Tom Jackson (Sheriff), James Caak (?) (II. Präsident) und Lieselotte Minne ha ha” Im Gästebuch dargestellt ist ein Indianer mit einer Schnapsflasche in der Hand. In der Bar “Zum grinsenden Präriehund” wird diese Begegnung Münchner und Dresdener Indianerfreunde wohl in feuchtfröhlicher Runde die Beziehungen beider Vereine vertieft haben. Am 14. September 1938 heiratet Elk Eber zum dritten Mal. Seine Frau Lieselotte, geborene Rummel, kennt er wahrscheinlich ebenfalls aus Garmisch. Wie seine neue Frau zum Indianerhobby ihres Mannes stand, ist nicht bekannt.
Allerdings scheint sie dafür etwas mehr Verständnis aufzubringen als ihre Vorgängerin: Auf einem leider undatiertem Foto von einem Camp des Cowboy-Clubs ist sie gemeinsam mit Elk Eber vor einem Tipi zu sehen. Ob es sich bei den von Eber getragenen indianischen Kleidungsstücken um Originale oder um selbst nachgebaute Stücke handelt, ist nicht zu ermitteln. Elk Eber hat sich in seinem Atelier manchmal Originalstücke seiner Sammlung angezogen und sich damit fotografieren lassen. Das Jahr 1939 hatte für den Indianerfreund Eber wieder einige Höhepunkte. So kam in diesem Jahr das Buch “Lagerfeuer im Indianerland” von Hans Rudolf Rieder auf den Markt, Eber hat dieses Buch mit 12 Federzeichnungen illustriert. Einer breiten Öffentlichkeit wurde im Juli 1939 ein Teil der Eber´schen Sammlung von Ethnographica in einer großartigen Ausstellung vorgestellt. Die Ausstellung fand vom 1. Juli bis zum Ende diesen Monats im Foyer des Völkerkundemuseums München statt Eber unterhielt schon seit Jahren enge Kontakte zu diesem Museum, bereits 1931 hatte er 5 Objekte an das Museum verkauft. In Veröffentlichungen wird davon berichtet, daß er vom Leiter des Museums zum Berater und Sachverständiger des Völkerkundemuseums für den Bereich Nordamerika ernannt wurde. Die Präsentation der Eber´schen Privatsammlung war sicherlich für das Museum eine Gelegenheit die Besucherzahlen zu erhöhen. Der Bekanntheitsgrad des Malers in München dürfte spätestens seit seiner Ernennung zum Professor eminent gewesen sein. Wie Fotos bezeugen, wurde von Eber selbst und einem Gehilfen ein Tipi als Blickfang in der Halle des Museums aufgebaut. Dabei handelte es sich sogar um ein recht großes Exemplar im Gegensatz zu dem kleineren in seinem Atelier und den bei den Camps des Cowboy Clubs errichteten Zelten. Von der Bedeutung dieser Sonderausstellung zeugen auch die zahlreichen und ausführlichen Presseberichte in Münchner Zeitungen. In einer “Presse-Vorbesichtigung” unter Leitung von Dr. Feichtner vom Völkerkundemuseum und Elk Eber sowie Herrn Koch, dem 2. Vorsitzenden des Cowboy-Clubs München, wurde besonders der “wissenschaftliche Charakter” der Ausstellung hervorgehoben. “… wie uns Prof. Elk Eber selbst erklärte, soll sie auch dazu dienen, das vielfach noch verbreitete Vorurteil gegen die Indianer zu überwinden. Es hat auch die Forschung längst erwiesen, daß wir es bei ihnen mit keinen “Wilden” zu tun haben.” So wurden die piktographischen Darstellungen der Prärieindianer auf Leder ausführlich erläutert und dabei erklärt, was eine “Wintererzählung”ist.
Perlenstickereien und Quillstickerei werden erläutert und die Ähnlichkeit der Quillstickerei mit den “vorwiegend in Tirol üblichen Stickereien aus Pfauenfederkielen auf Leder” dargestellt.Weiterhin wurde den Journalisten erläutert, daß das Skalpieren keine ursprünglich indianische Sitte sei und der Indianer eine “wirkliche Kampfethik besitzt” bei dem das Berühren des Feindes mit einem hölzernem Stab eine weit größere Ehre für den Krieger sei als das Töten. Allerdings ist die Berichterstattung natürlich nicht ganz frei von Propaganda wenn nämlich berichtet wird: “Eber, ein Kunstmaler der namentlich durch seine Zeitbilder “Marschierende SA” usw. bekannt geworden ist, ein Pfälzer, war vor dem Kriege in den amerikanischen Reservaten, hatte eine umfangreiche Sammlung angelegt, die aber während der Besatzung der Pfalz abhanden kam….” Da die Mär von der “ersten Sammlung die während der Besatzungszeit der Pfalz gestohlen wurde” auch in anderen Presseberichten erwähnt wird, muß derartiges tatsächlich gesprochen worden sein. Die umfangreiche biographische Recherche zeigt aber, daß dies gar nicht möglich war: Eber ging als Abiturient nach München zum Studium und meldete sich noch vor Abschluß des Studiums freiwillig als Kriegsmaler im ersten Weltkrieg. Er war also vor dem 1. Weltkrieg als Student sicher weder finanziell noch zeitlich in der Lage, eine solche Reise zu unternehmen. Außerdem lebte er seit 1910 in München, wohin ihm sein Vater 1913 folgte. Eine “erste” Sammlung dürfte es deshalb gar nicht gegeben haben. Mit höchster Wahrscheinlichkeit auszuschließen, daß sich Elk Eber jemals selbst in Amerika aufgehalten hat. Alle Zeitzeugen sowohl aus der Familie als auch aus dem Bekanntenkreis sprechen davon, daß er eigentlich immer unter Geldknappheit litt. Die biografische Recherche läßt auch keinen Ansatzpunkt für eine solche Reise zu. Über das konkrete Entstehen seiner umfangreichen Sammlung gibt es wenig Informationen. Wahrscheinlich hat Elk Eber alles nur irgendwie verfügbare Geld in die Sammlung gesteckt und deshalb nie über eine ausreichende Rücklage verfügt. Die Sammlung war sicher nur möglich, da derartige Ethnographica damals noch nicht als Geldanlage betrachtet wurden. Natürlich spielte bei Sammlern, die sich ja untereinander meist gut kannten, auch der Tausch von Objekten eine große Rolle. Eine weitere Quelle waren die Indianer, welche mit Völkerschauen und mit dem Zirkus Sarrasani durch Europa reisten, und die ihre Ausrüstung bzw. während des Aufenthaltes selbstgefertigte Stücke gern an Sammler weitergaben.. So heißt es in einem Artikel: “Mit White Buffalo Man und seinem Dolmetsch Lone Bear verband ihn eine große Freundschaft und so manch kostbare Trophäe wanderte aus der Reservation in Süddakota nach München”. Doch Eber hatte mit seinen Freunden vom Cowboy-Club München noch eine andere Quelle, über die andere Sammler nicht verfügten: den Tausch von Adlerfedern. So konnten sie auch den “echten Indianern” damit helfen. In dem Artikel der Münchner Stadtzeitung wird berichtet: “So hat erst unlängst der Club mehrere Hundert Adlerfedern unserer Berge in die Prärie gesandt – da dort die Adler selten wurden !” So bot sich eine nicht zu unterschätzende Möglichkeit, im Austausch manch schönes Original-Kleidungsstück nach München zu holen. Ob die Kontakte mit den Indianern direkt oder über einen Mittelsmann abgewickelt wurden, ist nicht bekannt. Einige der schönsten Stücke der Sammlung Elk Eber befinden sich heute im Ledermuseum Offenbach und können dort besichtigt werden. Die Kartei des Museums weist 47 Objekte mit der Herkunftsangabe “Sammlung Elk Eber”. Drei Objekte der Sammlung befinden sich heute im Karl-May-Museum Radebeul und ein Lederhemd aus Ebers Sammlung befindet sich jetzt im vereinseigenen Museum des Cowboy-Clubs München. Diverse Kleinobjekte sind in den Besitz einiger alter Indianer-Hobbyisten gelangt. Mit diesen heute nachzuweisenden Stücken aus der Eber´schen Sammlung sind aber nicht einmal die Hälfte der auf Fotos dokumentierten Stücke erfaßt. Wenige Wochen nach dem Ende der Ausstellung in München begann mit dem Überfall auf Polen der Zweite Weltkrieg. Elk Eber meldete sich sofort wieder freiwillig zum Einsatz als Kriegsmaler und wurde in einer Propagandakompanie zusammen mit anderen Malern wie Franz Eichenhorst, Alwin Stützer und Ernst Vollbehr, aber auch anderen Kulturschaffenden wie z. B. der Filmemacherin Leni Riefenstahl, an die polnische Front geschickt. Er malte hier wieder überwiegend Aquarelle von zerstörten Anlagen in Modlin und Warschau und vom Einzug der deutschen Truppen in Warschau am 2. Oktober 1939. Bekannt wurde auch sein Bild “Gruppe polnischer Gefangener vor der Kommandantur in Warschau”. Im Gegensatz zum ersten Weltkrieg scheint er aber während der Kampfhandlungen selbst nicht an der Front gewesen zu sein. Die Ergebnisse der Frontmalereinsätze wurden 1940 in Berlin im Rahmen einer Ausstellung “Polenfeldzug in Bildern und Bildnissen” gezeigt. In dieser Ausstellung waren etwa 20 Werke Ebers zu sehen. Am 26. 2. 1940 wird er mit dem Kunstpreis der SA ausgezeichnet.
Wenige Wochen darauf beginnt ein altes Leiden erneut sein gesundheitliches Befinden zu verschlechtern. Bereits von 1933 bis 1936 war er mehrmals wegen Bauchfellentzündung in ärztlicher Behandlung. Nun begann dieses Leiden wieder Probleme zu bereiten. Von August bis Oktober 1940 war er zu einem Sanatoriumsaufenthalt gezwungen. An Arbeit war unter diesen Umständen nicht zu denken. Einen Auftrag zur Gestaltung von zwei Plakaten zum Honorar von je 100,- RM mußte beim Auftraggeber abgesagt werden. Am 6. Dezember wird er erneut zu stationärer Behandlung in ein Münchner Krankenhaus eingeliefert. Später geht er in der Hoffnung auf Genesung wieder nach Garmisch. Behandelt wird er zuletzt von seinem Freund Ernst Ditzuleit, einem Pionier der deutschen Indianer-Hobbyisten und damals ebenfalls einem Mitglied des Cowboy Clubs München. Jetzt zeigte sich, daß Eber trotz seiner Karriere in der Zeit des Dritten Reiches keinerlei Mittel angespart hatte. Er lebte quasi “von der Hand in den Mund”. Allein der Sanatoriumsaufenthalt kostete ihm 2300,- RM und der neuerliche Krankenhausaufenthalt schlug nochmals mit wöchentlich 160,- RM zu buche. Dazu kamen noch 146,- RM monatliche Miete und der Unterhalt an die geschiedene Frau und den Sohn mit 110,- RM monatlich. Unter diesen Umständen wurde durch den Chef des Sozialamtes der Münchner SA-Führung ein Unterstützungsantrag ” für den in Not geratenen SA-Hauptsturmführer Elk Eber” an “den Reichsminister fuer Volksaufklaerung und Propaganda Pg. Dr. Gooebbels” aus Mitteln der Stiftung “Künstlerdank” gestellt. Beantragt war eine monatliche Zuwendung in Höhe von 200,- RM und eine einmalige Sonderhilfe in Höhe von 1000,- RM. Am 4. 4. Wird dieser Antrag, nachdem er die Instanzen der Bürokratie erfolgreich durchlaufen hatte, genehmigt und durch den Herrn Reichsminister persönlich sogar die einmalige Sonderhilfe auf 2000,- RM erhöht. Ebers Gesundheitszustand verschlechterte sich jedoch dramatisch, es kam zu einem raschen Kräfteverfall. Am 12. August 1941 um 3 Uhr nachts verstirbt der “Kunstmaler Professor Wilhelm Emil (genannt Elk) Eber” in der Adolf-Hitlerstraße 58 in Garmisch-Partenkirchen an Bauchfelltuberkulose. Sein Tod wird unter Nr. 113 im örtlichen Standesamt registriert. Die Feuerbestattung fand am Mittag des 15. August im Krematorium auf dem Münchner Ostfriedhof statt. Die Pressemeldung von der Trauerfeier weist aus, daß diese unter Teilnahme von Vertretern der Stadt München und der SA sowie zahlreicher anderer Trauergäste erfolgte. Vom Musikzug der Standarte 16 “List”, deren langjähriges Mitglied Eber war, wurde das Lied vom “Guten Kameraden” gespielt. Auch der Karl-May-Verlag, ein Schriftstellerclub und der Cowboy-Club München legten Kränze zum letzten Gruß nieder. Die Urne wurde nach Garmisch überführt und dort am 10. 10. 41 beigesetzt. Neben seiner Frau Liselotte gedachte auch der Cowboy-Club seines Mitgliedes in einer Zeitungs-Annonce . In der Vereinschronik schreibt der Gründer des Clubs und langjährige Vorsitzende unter der Überschrift “White Elk ist Tod” unter anderem: “Du warst mit Leib und Seele einer der unsrigen. Es gab wohl kaum einen Clubabend, eine Versammlung oder ein Biwak wo du nicht anwesend warst. Dein Ideal sowie deine große Liebe zu dem roten Manne ließen dich stets in unseren Kreise finden, denen du viele Jahre bis zu deinem Tode ein Treuer Anhänger bliebest. Wer deinen aufrichtigen Charakter dein liebes bescheidenes Wesen sowie dein großes künstlerisches Schaffen kannte, mußte dich liebgewinnen. Und nun hast du uns für immer verlassen. Es ist sehr schmerzlich für uns lieber Elk, aber wir alle werden dich nie vergessen. Wenn einst dieses fürchterliche Menschenmorden zu Ende sein wird, wieder Friede in deutschen Landen einkehrt, neu wieder die Kampffeuer in den Steppen von München aufflackern, Rothäute und Bleichgesichter des Clubs um dasselbe sitzen und sich ihre Erlebnisse erzählen, Cowboys ihre Steppenlieder singen, dann sitzt auch du lieber Elk im Geiste wieder unter uns und rauchst wie in früheren Tagen das Calumet mit deinen roten und weißen Brüdern. hough – Fred Black.” Im Jahre 1942 wurde zur Erinnerung an sein Schaffen als Maler im Geiste der National -sozialisten im Münchner Haus der Kunst eine Gedächtnisausstellung organisiert. Es war Krieg, noch immer wurden seine Bilder und Plakate zu Propagandazwecken verwendet. Im November 1944 fiel sein Sohn aus zweiter Ehe, Kurt Eber, im Alter von nur 19 Jahren auf dem Rückzug in Polen. Die Urne Ebers wurde 1961 in Garmisch exhumiert und auf dem Münchner Nordfriedhof wieder beigesetzt. Dort ruht sie noch heute, doch da das Grab nach Ablauf der Frist in den achziger Jahren weiter vergeben wurde, gibt es heute keinen sichtbaren Hinweis mehr auf die letzte Ruhestätte Elk Ebers. Nach dem Krieg wurde der Name Elk Eber eher verschwiegen. Werke propagandistischen Inhalts und die heroischen Kriegsdarstellungen befinden sich heute noch in einem Washingtoner Militärdepot. Ebers künstlerische Bedeutung ist sicher umstritten und soll hier nicht gewertet werden. Bei der Bewertung von Ebers Verhältnis zu den Indianern kann man die allgemeine Bewertung der Ureinwohner Nordamerikas durch die Nationalsozialisten nicht außer acht lassen. Diese ist, um es vorwegzunehmen, nicht einheitlich. Soviel im damaligen Nazideutschland auf “Gleichschaltung” der offiziellen Meinung hingearbeitet wurde: bei den “Indianern” war die Wertung nicht ohne Widersprüche. Tief war die Indianerbegeisterung in Deutschland. Karl May hatte ganze Arbeit geleistet. Im Gegensatz dazu stand die Rassenideologie der Nationalsozialisten: Jede Rasse, mit Ausnahme der arischen, wurde als minderwertig angesehen. Nur wenige Völker erhielten hier “mildernde Umstände”, so zum Bsp. die Tibeter und die Indianer Nordamerikas. Die Indianer galten aber als “aussterbende” Rasse und stellten somit keine Konkurrenz für die “deutsche Herrenrasse” dar.. Eine Rassenmischung war nicht erwünscht. Der Deutsche hat von allen Europäern die größte Liebe für den Indianer. Es ist als Stärke ein Stück Indianer in jedem von uns” schrieb Rieder in dem von Elk Eber illustriertem Buch “Lagerfeuer im Indianerland”. Bekannt ist, daß Adolf Hitler selbst ein begeisterter Leser von Karl May war und Winnetou besonders verehrt hat.
Warum, das wird von Albert Speer einmal so beschrieben:”Die Person Winnetou habe ihn …. immer tief beeindruckt. Er sei geradezu das Musterbeispiel eines Kompanieführers. Winnetou sei zudem sein Vorbild eines edlen Menschen”.
Bewundert wurde durch die Nazis an den Indianern hauptsächlich die Tapferkeit im Kampf (um das eigene Land) und der Stolz auf die eigene Rasse, beides Eigenschaften, die man am Deutschen auch zu entdecken glaubte. Außerdem kam dem Indianer in der Gunst des damaligen Regimes wohl auch zu gute, daß er historisch bedingt meist gegen Feinde kämpfte gegen die auch im damaligen Deutschland ein Feindbild aufgebaut wurde: Franzosen, Engländer und Amerikaner. Wo immer Deutsche im Spiel sind, so doch meist als Freund der “guten Indianer” – Old Shatterhand ist dafür nur ein Beispiel. Typisch ist auch der Deutsche Ernst Markgraf in den Romanen von Goll.